Ottenere la cittadinanza tramite linea successoria femminile
Ottenere la cittadinanza tramite linea successoria femminile
Può una legge nata prima della Costituzione essere incostituzionale?
Nel 1912, quando in Italia si legiferò sulla cittadinanza e sulla sua trasmissione da genitori e figli, si ritenne di dover fare una distinzione tra la trasmissione per via paterna e materna.
Il fenomeno dell’emigrazione era in uno dei periodi di maggiore intensità, e molte donne italiane finivano con lo sposare degli stranieri, acquisendo la loro nazionalità e perdendo, per la “madre” patria, il diritto a trasmettere ai figli la cittadinanza italiana.
Nonostante la maggior parte delle nostre emigrate non avessero espressamente rinunciato alle proprie origini, per la legge del 1912 il matrimonio con uno straniero cancellava le loro radici italiane.
La Costituzione, a far data dal primo gennaio del 1948, ha restituito alle italiane trasferite all’estero e coniugate con stranieri, la possibilità di non tagliare del tutto i ponti con l’Italia e di poter trasmettere ai propri discendenti la cittadinanza italiana. Ciò ha comportato però che solo chi è nato dopo l’entrata in vigore della Costituzione possa ottenere il riconoscimento della cittadinanza tramite iure sanguinis in modo semplice e lineare, tramite richiesta al Consolato, se residenti all’estero, o tramite istanza al Sindaco, se residenti in Italia.
La situazione è ben diversa per coloro per i quali la discendenza da madre italiana abbia avuto luogo prima del 1948 perché la cittadinanza italiana potrà essere ottenuta solo ed esclusivamente tramite un’azione giudiziaria.
In pratica ci si deve obbligatoriamente rivolgere al giudice nel caso in cui nella linea dei discendenti che trasmettono la cittadinanza è presente un discendente di donna italiana nato prima del 1948.
Nonostante in molti paesi la cittadinanza non si comunichi alla moglie straniera automaticamente con il matrimonio, per cui le donne in questione non hanno mai perso lo status di cittadine italiane, la legge italiana non tiene conto di questo dettaglio, lasciando che siano le sentenze a stabilire chi ha diritto, caso per caso, a vedersi riconosciuta la cittadinanza italiana iure sanguinis in presenza di progenitrice donna.
Capita così che due fratelli nati uno prima e uno dopo il 1948, debbano seguire iter diversi per vedersi riconosciuta la cittadinanza italiana. Tempi diversi ma anche esiti che rischiano di essere diversi, vista l’imprevedibilità del giudizio, in assenza di una legge chiara e univoca. Davanti alla legge italiana anche due fratelli cessano di avere gli stessi diritti.
Le leggi
La legge n. 555 del 1912, continua a condizionare e a discriminare le donne italiane che hanno scelto di trasferirsi all’estero, e i loro discendenti.
Secondo questa norma il figlio di madre cittadina italiana non doveva venire riconosciuto come cittadino italiano se essa contraeva matrimonio con un cittadino straniero, acquisendone la nazionalità.
Non in tutti gli stati esteri però il matrimonio comportava l’estensione della cittadinanza alla moglie, cosa di cui i Tribunali non sempre hanno tenuto conto.
Se la cittadinanza non si perdeva attraverso il matrimonio, la donna italiana che non faceva richiesta di cittadinanza del marito, di fatto, restava cittadina del nostro paese. La legge del 1912 ha creato problemi anche a quelle donne che avevano figli da uno straniero che non avevano sposato.
Per la Costituzione del 1948, la dichiarazione di illegittimità costituzionale fa venir meno l’efficacia della norma dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione. L’articolo 136 della Costituzione recita: “Quando la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale di una norma di legge o di atto avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione”.
La Legge n. 151 del 1975, riconobbe il diritto di cittadinanza alla donna italiana che l’avesse perduta, in modo indipendente dalla propria volontà, tramite matrimonio con cittadino straniero, in data anteriore al primo gennaio 1948.
Nel 1983 la legge 123 ha sancito che il figlio minorenne di padre o madre cittadina italiana sia considerato cittadino italiano.
La giurisprudenza ha limitato gli effetti di questa legge ai soli nati in data successiva all’entrata in vigore della Costituzione.
Persino la successiva legge n. 91 del 5 febbraio 1992, “Nuove norme in materia di cittadinanza”, ha stabilito che è possibile attribuire la cittadinanza solo alle persone nate dopo il primo gennaio 1948 da cittadina italiana.
Nonostante la Corte di Cassazione si sia più volte pronunciata a favore della discendenza anteriore al 1948, la Pubblica Amministrazione non si è mai adeguata e continua a prevedere che una madre italiana trasmetta la cittadinanza solo a far data dall’entrata in vigore della Costituzione.
La legge 91 del 1992, non ha effetto retroattivo per cui serve sempre una sentenza per sancire il diritto alla cittadinanza italiana a coloro che sono nati prima del 1948 da donna italiana sposata a uno straniero.
Eppure la legge prevede un’eccezione, se infatti la donna in questione avesse adottato un figlio prima del 1948 costui godrebbe della cittadinanza grazie alla retroattività che nel suo caso verrebbe applicata.
Le sentenze
Le sentenze della Corte Costituzionale hanno, per lo più, concordato sull’incostituzionalità della legge 555/1912. Nel 1975 con la sentenza numero 87, e nel 1983 con la sentenza numero 30, la Corte prima ha contestato la validità della legge del 1912 nel punto in cui prevedeva che il matrimonio con uno straniero privasse automaticamente la donna italiana della propria cittadinanza d’origine e, successivamente l’ha ritenuta discriminante nei confronti dei figli di madre cittadina italiana rispetto ai figli di padre cittadino italiano.
La Corte di Cassazione nel 2009, con la sentenza a Sezioni Unite n. 4466, ha attribuito una validità retroattiva ad entrambe le sentenze della Corte Costituzionale, ribadendo il diritto ad essere cittadino italiano per nascita anche il figlio di madre cittadina visto che non il matrimonio, ma la sola volontà, potevano far perdere la cittadinanza italiana.
Negli anni altre sentenze hanno seguito la stessa direzione, per citarne una la numero 6297 del 10 luglio 1996, in cui la Sezione 1 della Corte di Cassazione, ha riconosciuto come cittadini italiani iure sanguinis, i figli legittimi di madre cittadina, nati in data anteriore al primo gennaio 1948.
Quello che emerge dalla maggioranza delle sentenze è che può essere riconosciuto cittadino italiano colui il cui avo non ha mai rinunciato alla cittadinanza italiana, sia esso uomo o donna.
La procedura
Chi vuole rivendicare le proprie origini italiane, avendo avuto una progenitrice trasferitasi all’estero, davanti ad un tribunale italiano, non deve necessariamente farlo in prima persona. L’avvocato può, tramite procura, rappresentare il richiedente.
In caso di esito positivo, l’avvocato notifica la sentenza al Ministero dell’Interno e all’Agenzia delle Entrate.
Spetterà poi al cliente informare il Consolato italiano del paese in cui risiede, affinché possa richiedere la trascrizione della cittadinanza all’ufficio dello stato civile presso il Comune di nascita dell’ava italiana. Una volta registrato potrà richiedere l’iscrizione all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE) e il rilascio del passaporto italiano.
Gli avvocati dello Studio legale Boccadutri, esperti in Diritto dell’Immigrazione, garantiscono assistenza legale competente prima, durante lo studio del caso, e successivamente davanti al Giudice, durante i processi per ottenere il riconoscimento dello status di cittadino italiano iure sanguinis per linea materna.
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Sono di nazionalità canadese, avendo LA mamma italiana vorrei fare la domanda di cittadinanza italiana iure sanguinis.
AL consolato d’Italie ã Montreal mi hanno detto Che ho bisogno dei servizi di un Avvocato essendo di linea materna.
Sono alla ricerca di un Avvocato capace di diffendermi avanti AL tribunale civile di Roma.
Parlo e scrivo abbastanza bene l’italiano. E perfettemente il francese.
Conto sulla sua cortesia di volermi rispondere positivamente.
Nell’attesa di una sua risposta gli mando:
Cordiali saluti