Le criptovalute secondo la legge
Le criptovalute trovano spazio nella legislazione italiana ed europea, in attesa che il fenomeno venga universalmente riconosciuto.
L’Italia è stato il primo paese in Europa a legiferare sulle criptovalute, definendo la figura del cambiavalute virtuale, l’exchanger.
Il Decreto Legislativo 25 maggio 2017, che ha attuato la IV Direttiva europea antiriciclaggio, è entrato in vigore il 4 luglio del 2017, ha introdotto nella nostra legislazione il concetto di criptovalute, classificando in particolare coloro che le adoperano abitualmente per lavoro.
Gli exchanger in quanto prestatori di servizi, svolgono principalmente l’attività di cambio tra “valute virtuali e valute legali”.
Nel prestare questo tipo d’opera diventano destinatari delle normative antiriciclaggio, in più, per la legge italiana, devono ottenere una licenza ed essere iscritti in un apposito registro.
Le autorità devono avere notizia della loro presenza sul territorio. L’exchanger rappresenta il collegamento tra il mercato tradizionale e il nuovo mercato delle criptovalute, ma poiché opera nel mercato finanziario tradizionale è sottoposto alle sue regole.
La prima sentenza in “criptovaluta”
La sentenza n. 195 del 24 gennaio 2017, emessa dalla Seconda Sezione Civile del Tribunale di Verona, deve la sua peculiarità alla materia oggetto del discutere: la criptovaluta.
Il ricorrente ha citato in giudizio una società di servizi informatici che avrebbe dovuto aprire un conto, wallet, in Bitcoin ma che, pur avendo ricevuto i soldi necessari in valuta legale, non lo ha mai fatto. L’acquisto dei Bitcoin era propedeutico ad un’operazione di crowdfunding.
Il giudice ha stabilito che un contratto, concluso on-line tra le parti, che implica il cambio tra soldi reali e soldi virtuali, rappresenta un servizio finanziario o meglio una “prestazione di servizio a titolo oneroso”.
Il bitcoin viene visto come uno “strumento finanziario”.
La società di servizi informatici non avendo adempiuto agli impegni presi tramite il “contratto a distanza” (ex art. 50 del Codice del consumo – D.lgs. 6 settembre 2005, n.206), ed avendo violato gli obblighi legali di “forma e di informativa precontrattuale” (artt. 67-duodecies ss. cod. cons.), è stata condannata a restituire quanto ricevuto.
La sentenza ci dice che quando si procede al cambio tra valuta tradizionale e valuta virtuale il cliente ha diritto di essere informato in modo trasparente su quello che comporta la transizione, pena l’annullamento del contratto.
Criptovalute e tasse
I guadagni da criptovalute sono attualmente esenti da regolamentazioni e da tasse per cui, in materia, ci si deve basare sull’adattamento di norme preesistenti.
L’Agenzia delle Entrate sembrerebbe orientarsi verso un’assimilazione delle criptovalute a monete estere (ris. 72E/2016), e quindi diverrebbero oggetto di tassazione soltanto superata una certa soglia, in Europa invece, col beneplacito della BCE, le si considera veri e propri mezzi di pagamento (sentenza “C-264/2015 CGEU”).
In maniera spontanea è possibile dichiarare le plusvalenze ottenute con le criptovalute attraverso il modello Unico Persone Fisiche, soprattutto se si è a conoscenza del fatto che i bitcoin acquistati sono fisicamente conservati oltre confine.
Restando il dubbio, se si teme per la possibile futura tassazione delle proprie plusvalenze ricavate dalla speculazione sulle criptovalute, sarebbe opportuno rivolgersi ad un esperto del settore, onde evitare che un domani il fisco reclami una parte dei vostri introiti.
Per informazioni e chiarimenti non esitate a contattare gli avvocati del Dipartimento di Diritto Societario e Commerciale dello Studio Legale Internazionale Boccadutri.
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