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La morte del coniuge non blocca l’iter di cittadinanza

28 Feb 2023 - Diritto Dell’Immigrazione
La morte del coniuge non blocca l’iter di cittadinanza

La morte del coniuge (italiano) non può avere come conseguenza il rigetto della pratica di acquisizione della cittadinanza italiana per matrimonio, del coniuge superstite.

È quanto ha stabilito la Corte costituzionale con la sentenza n. 195 del 2022, in tema di cittadinanza, acquisizione per matrimonio, cause ostative all’acquisto della cittadinanza, dichiarando illegittimo l’articolo 5, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 91, precisamente “nella parte in cui non esclude, dal novero delle cause ostative al riconoscimento del diritto di cittadinanza, la morte del coniuge del richiedente, sopravvenuta in pendenza dei termini previsti per la conclusione del procedimento”.

A differenza di quanto finora successo, d’ora in poi, la morte del coniuge italiano non potrà essere motivo d’impedimento per l’acquisizione della cittadinanza italiana per matrimonio.

Le conclusioni della Corte Costituzionale

La Corte ha ritenuto la normativa attuale “contraria al principio di ragionevolezza”, poiché considera una vera e propria causa di rigetto della domanda di riconoscimento della cittadinanza, per lo straniero coniugato con cittadino italiano, la morte del coniuge, intervenuta dopo aver presentato la domanda, ossia dopo che il/la richiedente aveva già acquisito i requisiti per l’ottenimento della cittadinanza stessa.

Il coniuge straniero/apolide, che ha contratto matrimonio con un cittadino italiano, può presentare domanda di cittadinanza soltanto dopo aver maturato i requisiti previsti dalla legge, dunque, la sopraggiunta morte del coniuge non cambia la sostanza dei diritti già acquisiti.

Nel nostro ordinamento, un evento imprevedibile, quale la morte del coniuge, “… pur se scioglie il vincolo matrimoniale, non fa venire meno, tuttavia, la pienezza delle tutele, privatistiche e pubblicistiche, fondate sull’aver fatto parte di una comunità familiare, basata sulla solidarietà coniugale, e dunque non può inibire la spettanza di un diritto sostenuto dai relativi presupposti costitutivi”.

Cittadinanza italiana per matrimonio

La legge 05/02/1992 n.91 (e successive modifiche), che ci informa su come ottenere la cittadinanza italiana per matrimonio, ci dice che il coniuge di un cittadino italiano ha il diritto di diventare a sua volta cittadino italiano, dopo due anni dalla data del matrimonio (uno in presenza di figli), se entrambi hanno eletto l’Italia come loro residenza, o dopo tre anni (18 mesi in presenza di figli), nel caso in cui si siano stabiliti all’estero.

Poi però, la stessa norma, per tutelare l’Istituto del matrimonio e non renderlo un mero strumento per ottenere una “facile” cittadinanza, dimentica di tutelare chi si trova privato imprevedibilmente della compagnia del coniuge.

Infatti, in base all’art. 149 del Cod. Civile, “il matrimonio si scioglie con la morte di uno dei coniugi e negli altri casi previsti dalla legge”.

Peccato che, in conseguenza alla cessazione del matrimonio la domanda di cittadinanza venga cassata, motivo per cui si sarebbe dovuta distinguere, già nella stessa legge, la morte dagli “altri casi previsti dalla legge” (separazione, annullamento, cessazione degli effetti civili …).

Da un lato la fattispecie di una cessazione involontaria, dall’altro una fattispecie in cui invece è possibile scegliere consapevolmente di porre fine al matrimonio, anche se ciò comporterà la perdita di diritti già acquisiti.

Un coniuge che muore non può indurre a pensare che il matrimonio sia stato un pretesto per ottenere la cittadinanza.

La storia da cui nasce la sentenza

La storia da cui nasce la sentenza è quella di G. G., cittadina ucraina residente in Italia dal 2007.

G.G. si è sposata nel 2009 con un cittadino italiano, col quale ha mantenuto residenza in Italia.

Nel 2011 G.G. ha presentato un’istanza alla Prefettura per chiedere il riconoscimento della cittadinanza italiana per matrimonio.

Nell’aprile del 2013, le è stato notificato un provvedimento che dichiarava “improcedibile” l’istanza, a causa del decesso del coniuge, sopraggiunto nel 2012.

G. G. a quel punto ha agito in giudizio per l’accertamento del suo diritto al conseguimento della cittadinanza italiana, asserendo di aver risieduto in Italia per il prescritto periodo di almeno due anni dopo il matrimonio, così integrando il presupposto richiesto dall’art. 5 della legge n. 91 del 1992.

Dal 2013 ad oggi sono passate un po’ di udienze sotto i ponti, anche perché il Ministero dell’interno si è costituito nel giudizio, deducendo la legittimità dell’operato dell’amministrazione convenuta e opponendosi alla domanda della ricorrente, chiedendone il rigetto.

La morte del coniuge era una causa ostativa ai fini dell’acquisto della cittadinanza, il coniuge della richiedente era morto, per cui per il Ministero non c’era altro da fare che chiudere la pratica.

Se la storia di G.G. ha un finale diverso è soltanto grazie al Tribunale ordinario di Trieste, sezione civile, che, con ordinanza del 29 settembre 2021, per supportarla, ha promosso un giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 5 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, Nuove norme sulla cittadinanza.

Il rimettente ha ritenuto di dover sollevare questioni di legittimità costituzionale «dell’art. 5 della L. n. 91 del 1992 proprio nella parte in cui non esclude, dal novero delle cause ostative al riconoscimento del diritto di cittadinanza, la morte sopravvenuta del coniuge del richiedente in pendenza dei termini previsti dalla legge per la conclusione del relativo procedimento».

Per il Tribunale di Trieste, risulterebbe inoltre violato anche l’art. 97 della Costituzione, in quanto “il riconoscimento della posizione giuridica dell’individuo” verrebbe pregiudicato “dalla durata del procedimento amministrativo”, in contrasto con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione.

Questo, viceversa, esigerebbe che la durata del procedimento amministrativo non vada “a discapito della domanda di accertamento del diritto, analogamente a quanto desumibile dai principi del giusto processo di cui all’art. 111 Cost.”.

Non sarebbe giustificata l’equiparazione fra il “decesso del coniuge del richiedente, intervenuto […] in seguito alla presentazione dell’istanza di cui al citato art. 5”, ipotesi “del tutto aleatoria” e indipendente dal comportamento dell’avente diritto alla cittadinanza, e le “altre situazioni ivi contemplate (separazione, annullamento, cessazione degli effetti civili e altre cause di scioglimento del matrimonio)”, riconducibili alla sfera di volontà e al dominio del richiedente.

La sentenza non solo ha riconosciuto il diritto di G.G. ad essere cittadina italiana, ma ha modificato la norma per tutti coloro che si dovessero trovare nella sua stessa situazione e chi, suo malgrado ci si trova ed è in attesa di concludere l’iter per la pratica di cittadinanza.

Gli avvocati del Dipartimento di Diritto dell’Immigrazione saranno lieti di fornire ragguagli in merito a chiunque cercasse notizie sull’argomento.

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Calogero Boccadutri is the Managing Partner of Boccadutri International Law Firm. He has trial experience in Forex, Personal Injury and Administrative litigation.



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