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Guida all’assegno di mantenimento, separazione e divorzio

Ultimo aggiornamento 9 Dic 2022

11 Mag 2022 - Diritto di Famiglia e Divorzio - Min Read 9 min
Guida all’assegno di mantenimento, separazione e divorzio

L’assegno di mantenimento è quel corrispettivo economico che, in seguito alla crisi di un rapporto, quando la potenziale rottura finisce davanti a un giudice, viene destinato a partner e figli.

Sono tre i tipi di assegno che possono essere riconosciuti a figli e/o coniuge, ossia assegno di mantenimento per i figli, assegno di separazione al coniuge, e assegno di divorzio all’ormai ex coniuge.

Per capire nel dettaglio cosa sono gli assegni di mantenimento, di separazione e di divorzio, che differenze esistono tra di loro, a chi spettano, per quanto tempo, come si calcolano, come fare per richiederli o se possono modificarsi nel tempo, è necessario partire dalla legge che ha dato origine a questa forma di sostegno economico, successivo a una rottura.

La storia del mantenimento

La storia degli assegni di mantenimento parte da lontano, ma non troppo, è infatti coeva dell’introduzione del divorzio nella legislazione italiana: cinquant’anni appena compiuti.

Senza divorzio non ci poteva essere separazione, senza separazione non ci potevano essere coniugi economicamente più deboli da assistere, o figli cui garantire il mantenimento, pur non vivendo più insieme.

Il divorzio viene introdotto nell’ordinamento giuridico italiano il 1º dicembre 1970, con la legge n. 898, la cosiddetta legge Fortuna – Baslini: “Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio”.

Il sistema giuridico italiano prevede che, prima di giungere allo scioglimento del matrimonio, si affronti un periodo di separazione personale.

Quando si va a stabilire chi ha bisogno di cosa”, si usa una prospettiva diversa nel caso si tratti della prima fase, ossia quella della separazione, o nel caso in cui venga scritta la parola fine al rapporto tra i coniugi e si giunga al divorzio.

Anche relativamente al mantenimento dei figli entrano in gioco diverse variabili (età e quindi esigenze diverse in base ad essa, reddito percepito dai genitori, tenore di vita nel periodo che precede la separazione …)

Mantenimento: lo dice la Costituzione

La corresponsione di denaro al coniuge/ex coniuge o al figlio/figli è un obbligo che non ha natura contrattuale.

È la Costituzione italiana che prevede, in seno alla famiglia, una tutela economica per i soggetti più deboli, nel caso in cui venga meno l’intesa e sopraggiunga la separazione.

Tali prestazioni rientrano tra gli obblighi di solidarietà familiare.

L’articolo 2 della Costituzione della Repubblica Italiana, recita: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.

Gli articoli 29 – 31 della Costituzione, sanciscono come la famiglia costituisca la “principale formazione sociale intermedia” nonché la “prima e più importante cellula della società naturale”.

Assegno di Mantenimento come tutela per i figli

Relativamente ai figli, l’art. 30 della Costituzione della Repubblica Italiana stabilisce che “è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio” (mantenimento e diritti dei figli di genitori non sposati).

Il Codice Civile ci informa che “salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità” (art. 337-ter).

Tale assegno, sempre secondo il Codice civile, andrà determinato tenendo conto delle esigenze del figlio, del tenore di vita goduto durante la convivenza dei genitori, dei tempi di permanenza presso ciascuno di loro, delle risorse economiche di entrambi, della “valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore”.

Per i figli che hanno raggiunto la maggiore età, e quindi, si presume, siano in grado di crearsi una certa autonomia o comunque ne avrebbero i mezzi, nessuna legge specifica che un genitore debba porre fine all’erogazione dell’assegno al compimento dei 18 anni.

Eppure, un dibattito in merito esiste, e i tribunali hanno spesso trattato casi di genitori che chiedono di riconoscere l’indipendenza economica dei figli maggiorenni, o comunque chiedono che si diano da fare per ottenerla, avendone tutte le possibilità.

La Cassazione, già era intervenuta a dirimere la questione con la sentenza n. 18076/2014, invitando a prendere in considerazione diversi fattori, una volta che i figli avessero raggiunto la maggiore età, ossia “le circostanze che giustificano il permanere del suddetto obbligo o l’assegnazione dell’immobile”.

Sempre secondo la Cassazione “tale obbligo non può essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura”.

Sta all’autocoscienza dei figli comprendere quale sia il modo migliore per ottenere la propria indipendenza, senza gravare eccessivamente sui genitori.

Tramite la più recente ordinanza n. 11186 dell’11 giugno 2020, la Corte di Cassazione ha dato ragione a un padre, il cui figlio, pur studiando, aveva un lavoro part-time a tempo indeterminato.

In tali circostanze l’assegno di mantenimento è stato valutato come superfluo.

Assegno di separazione e divorzio

Due misure in particolare, sono state studiate per tutelare il partner che viene ritenuto più debole, e quindi necessita di un sostegno economico.

Il tipo di aiuto varia in base alla fase in cui si trova la rottura, separazione o divorzio.

L’assegno dopo la separazione

Il primo tipo di sostegno per il partner da cui ci si separa, e che viene percepito come bisognoso di assistenza economica, viene stabilito in fase di separazione.

La separazione non provoca la cessazione degli effetti del matrimonio, ma una situazione transitoria, una sorta di sospensione con una scadenza, e potrebbe sfociare nel divorzio o nella riconciliazione.

In questo contesto, nelle decisioni relative all’assegno di separazione, si propende per una sorta di continuazione dei benefici goduti durante il matrimonio, poiché di fatto ancora in essere.

Al coniuge, se non gravato da addebito della separazione, viene garantito il tenore di vita goduto durante la convivenza, poiché non cessa il dovere di assistenza materiale, venendo meno i soli obblighi di natura personale, ossia di fedeltà, di convivenza e di collaborazione.

Per stabilire l’ammontare entrano in gioco diversi fattori, quali la durata del matrimonio, la diversità di reddito dei due coniugi, la disponibilità o meno della casa familiare, le spese straordinarie causate dalla separazione.

La separazione, se consensuale, vedrà il solo intervento degli avvocati, che troveranno un accordo tra le parti anche sul corrispettivo da elargire mensilmente.

In caso di separazione giudiziale, ossia in mancanza di intese, ogni decisione verrà rimessa nelle mani di un giudice.

La linea guida per stabilire l’importo resta sempre il tenore di vita endomatrimoniale.

La corresponsione dell’assegno di separazione cessa il mese prima che inizi la corresponsione dell’assegno divorzile.

L’assegno divorzile

L’assegno divorzile è la manifestazione materiale del principio di solidarietà post coniugale.

Una volta emessa la definitiva sentenza di divorzio, uno degli effetti patrimoniali sarà quello della corresponsione di un assegno divorzile periodico, mirato al mantenimento del coniuge non autosufficiente.

L’assegno è dovuto purché l’ex coniuge si trovi nell’oggettiva impossibilità di mantenersi da solo.

Si può anche scegliere di stabilire un importo da versare in un’unica soluzione, ossia una tantum. In questo caso le parti devono aver raggiunto un accordo specifico. Il versamento della somma una tantum, esclude i casi di sopravvivenza, per cui il beneficiario non potrà richiedere nessun’altra prestazione economica, neppure in caso di peggioramento delle condizioni economiche (Vedi Cassazione Civile, sez. lavoro, sentenza 08/03/2012 n. 3635).

Chi si trova a versare un assegno una tantum non potrà usarlo come onere deducibile dal reddito, ai fini dell’applicazione dell’IRPEF (art.10 comma 1, lett. c). d.P.R. n.917/1986) come invece potrebbe fare con l’assegno periodico di divorzio (Cass. Civ. sent. N. 23659 del 6/11/2006; Cass. Civ. sent. N. 16462 del 22/11/2002).

In più, l’assegno una tantum, non è qualificabile come reddito imponibile ai fini IRPEF per chi la percepisce.

Rispetto all’assegno di separazione, l’assegno divorzile viene concesso con maggiori restrizioni, soprattutto dopo la sentenza n. 11504/2017 della Corte di Cassazione, considerata una pietra miliare per le discussioni successive, perché ha attuato un revirement (mutamento d’opinione) rispetto alla giurisprudenza trentennale precedente.

Il matrimonio, in quanto “atto di libertà e auto responsabilità”, può anche essere sciolto, ma a quel punto gli ex coniugi tornano ad essere “persone singole” e non hanno più il dovere di assistenza reciproca.

Poiché il matrimonio si scioglie ma non si cancella, un assegno di mantenimento sarà comunque dovuto per “solidarietà economica” nei confronti dell’ex coniuge.

Anche se il coniuge, ritenuto più debole, percepisse uno stipendio, se questo dovesse risultare insufficiente per potersi mantenere, l’assegno divorzile servirebbe ad integrarlo.

Chi non ha un’occupazione avrà diritto ad un contributo non eccedente il necessario per sopravvivere.

L’importo dell’assegno divorzile, in tale direzione, dovrebbe essere di una cifra ben inferiore rispetto a quello di mantenimento.

La linea guida si traduce nell’assioma che, se si possiedono i mezzi per provvedere a se stessi, ricevere un assegno da parte dell’ex porterebbe un indebito arricchimento.

Però ha anche una funzione compensativa, perché si basa anche sull’apporto del coniuge alla costruzione del patrimonio familiare durante il matrimonio (anche se si trattava di lavoro casalingo).

La Cassazione ha chiaramente indicato i fattori che determinano l’autosufficienza:

  • possesso di redditi (di qualsiasi specie)
  • possesso di cespiti patrimoniali mobiliari e immobiliari
  • capacità e possibilità di lavorare (la Cassazione fissa a 45-50 anni la soglia di età oltre la quale è molto più difficile trovare un lavoro)
  • disponibilità di un’abitazione

Chi è disoccupato dovrà dimostrare al giudice che ciò non dipende dalla propria volontà, quanto piuttosto da età, salute, formazione professionale, crisi del mercato dell’occupazione (a causa dell’emergenza sanitaria del Covid, ad esempio, è lampante che sia più difficile trovare lavoro, soprattutto in determinati settori).

Non basta essere iscritti ad un centro per l’impiego, bisognerà dimostrare di aver inviato curricula, di aver partecipato a bandi e concorsi, …

Volendo analizzare una serie di sentenze della Suprema Corte di Cassazione, si evince come, abbandonato il principio del tenore di vita, si propenda piuttosto per una valutazione delle capacità lavorative della parte più debole: se è giovane e abile l’importo dell’assegno sarà meno sostanzioso e dovrà essere un supporto minimo. L’ex coniuge è tenuto, in seguito al divorzio, a cercare un’occupazione, e a sfruttare attivamente le proprie capacità.

La corte biasima un “atteggiamento deresponsabilizzante e attendista, di chi si limiti ad aspettare opportunità di lavoro riversando sul coniuge più abbiente l’esito della fine della vita matrimoniale”. (C.C. ordinanza n. 3661 del 13 febbraio 2020).

Se invece l’ex coniuge meno facoltoso è avanti con gli anni “al richiedente verrà riconosciuto un importo adeguato a garantirgli una vita dignitosa e autonoma, che gli riconosca il sacrificio e quello che ha fatto durante il matrimonio” (C.C. sentenza n. 6519 del 9 marzo 2020).

La revisione dell’assegno di mantenimento/divorzile

La revisione dell’assegno di mantenimento o di quello divorzile non è automatica, deve essere espressamente richiesta.

Diverse sentenze della Suprema Corte di Cassazione, hanno indotto chi era costretto a pagare un cospicuo assegno all’ex coniuge, determinato da criteri ritenuti anacronistici (mantenimento dello stile di vita goduto durante il matrimonio) a chiedere la revisione dell’assegno di mantenimento, ottenendo, in alcuni casi, la revoca dello stesso.

Un’altra situazione che potrebbe verificarsi, successivamente alla sentenza di separazione o divorzio, è quella di ricevere un’eredità che faccia cessare il bisogno di ricevere un sostegno economico.

Con la rivoluzionaria sentenza 28778/2020 del 16 ottobre 2020, la Corte di Cassazione ha stabilito che l’assegno debba essere rimodulato, o revocato, se il coniuge beneficiario intrattiene una relazione sentimentale stabile, anche se ufficialmente non sussiste la convivenza con il nuovo partner, questo perché potrebbero convivere, pur mantenendo residenze diverse e comunque una relazione stabile con un altro partner svilirebbe il senso del mantenimento da parte dell’ex coniuge.

Rinegoziare gli assegni di mantenimento ai tempi del Covid è un’esigenza che si è resa purtroppo necessaria, sempre più frequentemente.

Una volta dimostrata l’inadeguatezza dei propri redditi a causa della diminuzione del lavoro, o della sua perdita, i giudici hanno dovuto adeguare le cifre spettanti alla nuova situazione.

Se avete in corso una separazione, se non siete convinti dell’entità dell’assegno che versate a figli e/o ex partner, o se siete comunque interessati ad approfondire l’argomento, non esitate a contattare i nostri legali del Dipartimento di Diritto di Famiglia e Divorzio.

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Calogero Boccadutri

Calogero Boccadutri is the Managing Partner of Boccadutri International Law Firm. He has trial experience in Forex, Personal Injury and Administrative litigation.



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